Amore a prima vista
Di cosa si parla quando si parla d’amore? Mi verrebbe da dire, prendendo a prestito il titolo di una delle più belle raccolte di racconti di Raymond Carver. E forse non è un caso pensare allo scrittore statunitense, famoso per la sua scrittura asciutta, costantemente limata dal suo editore Gordon Lish sul filo di un rasoio mai sazio di tagli, quando si parla della poetessa polacca Wisława Szymborska. Di cosa si parla quando si parla d’amore, e come se ne parla? A me piace pensare che bastano pochi cenni, perché l’amore non si spiega, si percepisce. La vista si acuisce, soffermandosi sull’essenza, e alla voce che narra bastano pochi accenni per puntare dritto al cuore di chi l’amore lo conosce.
Elena Tozzi
Accanto a un bicchiere di vino
di Wislawa Szymborska, dalla raccolta “Amore a prima vista”
Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia
Felice, ho inghiottito una stella.
Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
nel battito di ali improvvise.
Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.
Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d’amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.
Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
nella pelle stupita, nell’abbraccio
che mi crea.
Eva dalla costola, Venere dall’onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.
Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro.
Notorietà
di Wisława Szymborska dalla raccolta “Amore a prima vista”
Eccoci qui distesi, amanti nudi,
belli per noi – ed è quanto basta
solo con foglie di palpebre vestiti,
siamo immersi nella notte vasta.
Ma già sanno di noi, già sanno
queste quattro mura, la stufa spenta,
ombre sagaci sulle sedie stanno
e il tacere del tavolo è eloquente.
E sanno i bicchieri perché sul fondo
il tè non bevuto si raffredda.
Swift ormai non può certo fare conto
che questa notte ci sia chi lo legga.
E gli uccelli? Non illuderti per niente:
ieri li ho visti scrivere volando
con ardire e apertamente
quel nome con cui ti sto chiamando.
E gli alberi? Qual è il significato
del loro incessante bisbigliare?
Dici: solo il vento forse è informato.
Ma di noi come ha potuto sapere?
Dalla finestra è entrata una falena,
e con le sue piccole ali pelose
atterra e decolla di gran lena,
fruscia sul nostro capo senza posa.
Forse quell’insetto, più di noi dotato
d’una vista acuta, vede meglio?
Io non ho intuito, né tu indovinato
che i nostri cuori splendono nel buio.
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