La storia di Carlo

“…L’imitazione, lo scherzo, il prendermi gioco di amici e parenti sono stati sempre una mia costante. Mi resi conto delle mie potenzialità in quarta elementare. Ero innamorato di Ludovica Cerini, una compagna di classe biondina, molto dolce e con un bel neo sul viso. Per fare colpo su di lei, imitai in aula la maestra Bernardette Giordano, suscitando numerose risate. Quell’esibizione mi fece intuire di avere buone capacità di comunicazione con una platea, grazie a una semplice imitazione. Col passare del tempo la mia timidezza andò scomparendo, fino a quando, durante gli anni del ginnasio, non raggiunsi un livello di totale disinvoltura. La goliardata, l’osservazione e la riproposizione di un tic, diventarono il mio punto di forza per risultare simpatico ai compagni di scuola.

        A quei tempi si poteva fumare in classe, per cui iniziai a imitare il modo di maneggiare e aspirare la sigaretta dei vari docenti. Iniziai a prendere di mira Diego Folliero, il maestro di matematica che diceva icssss e iupssssilon, con una esse sibilata. Era un pugliese di origini napoletane e la sua severità ottocentesca, quel volto sempre burbero, quei suoi comportamenti tipici da maestro meridionale di memoria verghiana, lo portarono ad essere tra i più temuti della scuola … E ancora oggi me lo sogno di notte!

        Un altro mio must era padre Crocitto, l’insegnante di religione, il quale amava ripetere con quel classico tono placido e sdolcinato: “L’universo è come un orologio in cui le particelle si muovono cronometricamente, fino a svelare il suo incanto.” Ogni volta che lo imitavo, i miei compagni scoppiavano a ridere dicendomi sempre: “Sei un grande Carlo, devi fare l’attore!”

        Le migliori performace cominciai a farle con gli scherzi telefonici. Non a caso, nei miei sketch e nei miei film è spesso presente il telefono. La scena di una telefonata richiede sempre qualcosa di più, occorre un tempo di recitazione perfetto, la ricerca dello stupore, dell’incazzatura, dell’interferenza. Agli inizi aiutavo i compagni di scuola timidi a fare le dichiarazione d’amore alle ragazze. Le chiamavo al telefono imitando voci dei “pretendenti”; stavo anche ore a parlare dando il meglio di me stesso. Ero sempre garbato, raffinato, creativo, e spesso riuscivo nell’intento del rimorchio. Poi iniziai con gli scherzi… talvolta anche terrificanti.

        Zio Corrado era una persona precisa e raffinata, ma tendeva ad aprire discorsi lunghi e articolati anche sugli eventi più banali. Il suo modo di essere avrebbe ispirato, in parte, il personaggio di Furio in Bianco, rosso e Verdone. Il giorno in cui riuscii a imitare perfettamente la sua voce, decisi di fare uno scherzo a mio padre. Una sera, verso le undici, nel bel mezzo di un pauroso temporale, salii dai fratelli Baldi e telefonai a casa mia. “Buonasera Mario, sono Corrado” dissi, appena mio padre rispose.

        “Ah, ciao Corrado” Ma dove sei?”
        “Sono bloccato in aeroporto per lo sciopero dei taxi. Ti devo chiedere la cortesia di venirmi a prendere perché non so come fare.”
        “Ma non c’è neppure l’autobus?”

        Il fatto che io padre continuasse a parlare era segno di riuscita dello scherzo.
        “Ma quale autobus? Lo sciopero è totale” proseguii. “Mario, sono disperato, domani alle otto ho un appuntamento importante al quale non posso mancare.”

        “Va bene, rimani là che ti vengo a prendere” e attaccò.

        Mentre i fratelli Baldi sogghignavano, io rimasi letteralmente impietrito perché non potevo credere che papà avesse abboccato all’amo. Feci passare ancora qualche minuto, poi decisi di uscire allo scoperto per digli che era tutta una cazzata. Troppo tardi, perché lo sentii aprire il portone. “Papà!” urlai uscendo dal pianerottolo.

        “Non posso Carlo! Sto uscendo per una rottura di coglioni!”, rispose, chiudendo poi il portone.

        Scesi le scale di tutta corsa, pensando che avevo commesso una grande stronzata. Uscii in strada, cercando malamente di ripararmi dalla pioggia torrenziale, e finalmente raggiunsi mio padri nei pressi del garage dove teneva l’auto. Aveva l’ombrello aperto e sotto l’impermeabile si vedeva chiaramente che indossava ancora il pigiama.

        “Fermati papà, è uno scherzo” Ero io zio Corrado!” dissi tutto ansimante e bagnato fradicio, mentre l’espressione di mio padre mutava sull’incazzato.

        “Ma va a pijartela in der culo!” strillò. Poi, agitando minacciosamente l’ombrello, m’inseguì per un buon tratto di via dei Pettinari.”

Tratto da “La Casa sopra i Portici” di Carlo Verdone, Bompiani, Milano 2012

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